Con la mostra “Nella terra dell’Aquila” si è voluta rappresentare la lingua albanese sotto una veste del tutto nuova, cercando di cogliere al meglio le sue particolarità grafiche.
Ci si è affidati per l’occasione al concetto di “poesia visiva”, la quale rende la materialità stessa del segno grafico un espediente comunicativo in grado di instaurare con l’osservatore un rapporto spesso ludico, del tutto soggettivo, ma al contempo ricco di significati.
Lo spettatore si vede perciò proiettato di fronte a catene indecifrabili di lettere, parole scomposte e disseminate nello spazio della pagina e grafemi sconosciuti.
Ciò che maggiormente identifica la lingua albanese e la rende peculiare per chi ancora non la conosce, è in parte esposto negli spazi di queste opere.
Esse vanno quindi osservate con la consapevolezza che non sempre una chiave di lettura univoca è possibile, accettando di essere portati di fronte ad un linguaggio estraneo, ambiguo e apparentemente indecifrabile.
Il limite tra scrittura, tipografia e arte in senso proprio si fa qui labile, con l’obiettivo di stimolare quanti più stimoli possibili senza limitarsi dunque ad una lettura, spesso passiva, di un testo in lingua straniera.
I temi centrali che legano i vari componimenti sono quelli dell’identità e dell’esperienza migratoria nelle sue più varie e moderne sfumature, che da tempo immemore hanno influenzato la lingua e la cultura albanese.
La mostra si compone di 13 opere, alcune delle quali ruotano intorno ad una singola lettera o parola, altre come “Dialogo/Bisedim” o “Scrivo/Shkruaj” vedono una compresenza di varie lingue con le quali l’albanese si pone in una posizione di conflitto, altre ancora come “Sacre Scritture” sono frutto di un’attenta ricerca nei meandri della storia linguistica albanese andando a riprendere antichi e insoliti sistemi di scrittura creati ad hoc.
Tra i componimenti, accomunati da una sostanziale dimensione testuale, spicca “Realpolitik”, un’installazione la quale vuole porre l’accento sull’oggetto librario inteso come prodotto industriale e perciò anche simbolo di un periodo storico fondamentale per l’Albania di oggi.
Ed ecco che brandelli di libro, sbavature e colori sbiaditi rivelano all’osservatore di oggi l’essenza del Novecento albanese.
La mostra è in definitiva frutto di un esperimento poetico che si spera possa permettere esperienze nuove ed alimentare una genuina curiosità nei confronti di questa lingua per lo più ignota e marginale nel contesto storico e linguistico europeo. Proprio per questo siamo convinti che essa abbia ancora tanto da far scoprire a chi se ne avvicina, madrelingua compresi.